I cani non sono tutti uguali e non lo sono nemmeno le loro relazioni con l’uomo. Questo è ciò che ho re-imparato in Cambogia. Si, mi sorprendo sempre quando io, che non do niente per scontato, mi ritrovo a scoprire nuove realtà, abitudini, modi di vivere. Qualcosa che da qualche parte avevo pure letto, ma avevo accantonato perché molto lontane dai miei usi e costumi. Che ogni relazione uomo-cane sia unica ed irripetibile, perché basata su due individualità uniche ed irripetibili, è uno dei principi su cui si fonda il mio lavoro. Ma ciò del quale ho fatto esperienza in Cambogia è differente, le basi culturali della relazione uomo-cane sono del tutto diverse rispetto al nostro standard occidentale.
In Cambogia
il cane domestico, come lo intendiamo noi, non fa parte della consuetudine, bensì l’uomo è circondato dai cosiddetti “cani di villaggio”, come li chiama Richard C. Francis nel suo libro “Addomesticati”, che descrive così:
sono cani assai simili alla maggior parte di quelli vissuti 8000 anni fa. Come i loro antenati continuano a vivere fuori dalle abitazioni umane, si procurano il cibo da soli e soprattutto si accoppiano con chi vogliono. In breve vivono un’esistenza selvatica. Inoltre, in qualsiasi continente, hanno delle caratteristiche in comune: in generale di taglia media, con il pelo liscio e di colore variabile, talvolta pezzato. Le zampe più corte di quelle dei lupi e i denti relativamente più piccoli, la coda all’insù e il muso leggermente più corto. Non sono inclini a formare un branco.
I dingo, cani di villaggio
Ed è vero. Sono tutti più o meno uguali, tutti con una corporatura affusolata e la coda arricciata, e sebbene tu li veda gironzolare per le strade non sono affamati come si potrebbe pensare. Se provi a dar loro da mangiare non si avventano su di te per prendere il cibo, anzi, sono anche un po’ scettici nell’avvicinarsi, molti ti stanno a distanza sebbene scodinzolino. E una volta che lanci del cibo nella loro direzione non è detto che lo annusino e lo mangino.
Al momento sono rimasta basita da questo loro comportamento, sinceramente non capivo. Poi ho capito che non capivo perché non mi scostavo dal tipo di relazione che noi in occidente abbiamo con il cane.
Una cultura più vicina alla Natura
Infatti non è che dev’essere per forza uguale in tutto il mondo, poiché è un fatto culturale. La relazione tra uomo e animale è influenzata dalla cultura, e la popolazione cambogiana è molto più legata al ciclo della natura rispetto a noi lasciando che anche gli animali ne seguano il flusso. In ciò non c’è niente di giusto o sbagliato, solo un altro modo di relazionarsi con gli animali.
Come descritto da Richard C. Francis il modo di relazionarsi tra uomo e cane sembra effettivamente si sia fermato alla Preistoria. Sebbene il cane come specie si sia sviluppato proprio nell’Asia sud-orientale, la mia indole da archeologa mi fa notare che non appare nella iconografia khmer. Sono altri gli animali raffigurati nei numerosi bassorilievi che narrano le storie di questa civiltà perduta sviluppatasi tra il IX e il XIV secolo. Elefanti, scimmie, cavalli, serpenti, leoni, ma anche polli, conigli, pesci e maiali sono largamente rappresentati sulle pietre dei templi sperduti in mezzo alla giungla, ma del cane nessuna traccia. A meno che come accade nell’iconografia cinese non si parli di un cane scambiato per leone a causa della criniera con cui è rappresentato.
Il cane nella cultura umana
Se rifletto un po’ in realtà anche nella nostra cultura il cane non è poi così tanto rappresentato, mi viene in mente il famoso mosaico di Pompei del “cave canem”, e poi degli affreschi che lo ritraggono in scene quotidiane, ma in tempi molto più recenti (XII sec.). Tutto ciò a parer mio è molto curioso, visto il rapporto di simbiosi che si è creato tra uomo e cane fin dalla Preistoria. Eppure sembra che col tempo l’uomo l’abbia ben che dimenticato, o quantomeno lo da per scontato.
Aldilà di ipotesi e congetture sulla relazione del cane e la civiltà khmer, mi pare chiaro che in Cambogia, come nel resto del Sud-Est asiatico quelli che noi consideriamo “cani” assomigliano più al dingo (canis lupus dingo). È un cane “fermo” a 8000 anni fa, che sa gestirsi tranquillamente da solo e che sebbene ruoti attorno ai nuclei abitativi umani, a volte ci guarda ancora con diffidenza. È un cane che per sua fortuna (?) non dipende ancora dall’uomo, come invece accade da noi. Dovremmo riflettere sulla responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri cani: di comprendere le loro necessità e il loro stato d’animo. I cani sono realmente creature che hanno riposto la loro fiducia in noi mettendosi nelle nostre mani.
E poi lui, Tommy
È il nome che gli ho dato io, dal cane filo conduttore del meraviglioso libro “Il popolo degli Anima-li”. Un labrador incontrato sull’isola di Koh Rong Sanloen con tanto di collarino, che rispetto ai nostri cani occidentali è immerso perennemente nel flusso della Natura, tanto da risultare spesso buffissimo. Passa gran parte del suo tempo a seguire i pesciolini in acqua. Non riesce a dare più che tanta attenzione all’umano perché pare chiaro quanto sia forte in lui il richiamo della Natura. E quando non è impegnato a seguire i pesciolini lo trovi a giocare con gli altri cani “dingo” che ci sono sull’isola. L’ho lasciato così all’alba, prima della partenza: a seguire insieme al suo amico dingo un granchietto sbucato da una delle buche che avevano scavato. Un’immagine che resterà sempre impressa nel mio cuore.
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